
Alessandro Cartoni, il “Galattico”
Alessandro Cartoni insegna da molto tempo, attualmente è docente al Liceo Artistico “E.Mannucci” di Fabriano. Anni fa lavorò nella nostra scuola, al “G.Vivarelli”. Oltre ad essere un eccellente insegnante di lettere (pure di filosofia e storia dell’arte), è anche e soprattutto uno degli intellettuali umbro-marghigiani più colti e più brillanti tanto da meritare l’epiteto di “Galattico”. E’ uno scrittore molto conosciuto, membro del laboratorio collettivo “Carboneria letteraria”. Il suo nuovo romanzo, “Teodoro nella città” (presentato il 5 aprile u.s. presso la “nostra” Sala Ubaldi), registra già un ottimo gradimento da parte dei lettori. Il prof Cartoni va considerato a pieno titolo uno dei fabrianesi illustri.
Prof, qual è la sua formazione culturale, quale scuola e quali facoltà universitarie ha frequentato?
La mia è una formazione molto coerente, forse troppo coerente. Frequento il Liceo Classico “F.Stelluti” di Fabriano e poi filosofia all’Università, a Bologna. In realtà, dapprima m’iscrivo al primo anno di lettere moderne a Urbino, però so che non voglio stare a Urbino e soprattutto che non è quello il mio corso di laurea, anche se io poi mi occuperò sempre di lettere, perché di letteratura ne studio molta e poi l’insegnerò. A Bologna seguo il corso di laurea in filosofia indirizzo estetico, questo è molto importante sottolinearlo perché la filosofia che studio io concerne sempre la letteratura, la storia dell’arte, l’estetica, la poetica, la retorica, cioè tutte questioni teoriche che riguardano però i “prodotti” artistici. Dopo la prima laurea in filosofia mi iscrivo al Dams (Disciplina arte, musica e spettacolo) e prendo una seconda laurea in Disciplina delle Arti perché in effetti la mia è una specializzazione per arti visive. Insomma, non è un caso che poi alla fine della carriera io finisca in un liceo artistico…
Quando e come ha scoperto il suo talento? Quando ha capito che scrivere è ciò che le piace fare nella vita?
Vi rispondo con una battuta: quando capisco che è meglio essere uno scrittore fallito che un docente frustrato e questo lo capisco non subito, forse anche tardi. Ciò mi permette di dedicarmi a questa che è una passione che ho da sempre e che mi impedisce di “morire di scuola”. Voi sapete che la categoria di insegnanti è piena di tic, di frustrazioni; i proff sono mal pagati, sono sempre agitati, si portano le questioni personali a casa e questo capitava anche a me, poi alla fine io ho deciso di andare sul sostegno perché questo mi permette anche di dedicarmi meglio alle cose che amo, che faccio diciamo nel tempo libero. È importante averlo il tempo libero…un insegnante oggi ce n’ha sempre di meno, un insegnante curriculare intendo. Io scrivo poesie fin da 14 anni, infatti nelle mie pubblicazioni c’è anche una raccolta di poesie. Però mi occupo per lo più di narrativa. Quindi l’amore per la letteratura, che è un amore-odio, arriva abbastanza presto, ma la letteratura non la vedo proprio come un’espressione originale e totalmente creativa della psiche individuale, la vedo più che come un atto di conoscenza, disciplina anche, perché non è che se hai talento allora scrivi. Il talento e l’interesse ci vogliono ma scrivi quando ti eserciti.
In che senso “amore-odio” per la letteratura?
Perché oggi con i social voi avete un panorama di successi letterari che spesso sono costruiti attraverso strategie di marketing col social. Ci sono i booktalker, quei tiktoker – li conoscete meglio di me – che si occupano dei libri, che non hanno una preparazione specifica, magari sanno parlare ai giovani, agli adolescenti e propongono tutta una serie di pubblicazioni che sono decisamente di cattiva qualità. Vi do due dati impressionanti:
1) l’Italia nell’ultimo anno ha perso un milione di lettori;
2) un libro di successo oggi riesce a vendere dalle 5.000 alle 7.000 copie, che sono pochissime. Tutti gli altri stanno sotto. Vi dico solo che negli anni ‘90 un libro che andava bene vendeva un milione e un milione e mezzo di copie.
Quindi quanto più il mercato è intasato di questa roba, tanto meno c’è la gente che ha voglia di leggere, tanto meno c’è gente che ha voglia di comprarlo. Voi capite che questo non è un mestiere che neanche a grandi livelli vi permette di vivere. Una volta sì perché una volta si leggeva di più, c’erano meno libri e si comprava di più. Oggi scordiamoci che la letteratura sia un passatempo collettivo e ricordiamo i numeri che vi ho detto. Ogni anno si pubblicano non so quanti libri, ma molti di questi vengono pagati dagli autori. Cioé: gli scrittori, invece di essere pagati, pagano loro le Case Editrici che spesso stampano massimo 50 copie del libro. Pazzesco, no?
Quale genere letterario ama particolarmente e qual è il tuo scrittore prediletto?
Allora dunque io per quello che scrivo generalmente potrei ascrivermi sotto l’etichetta del mainstream. Io frequento da tanti anni, abbiamo superato i venti, un collettivo di scrittori marchigiani (il nucleo è nelle Marche ma è diffuso in tutti Italia) che si chiama Carboneria Letteraria. Fin dai primi anni mi sono trovato con amici attratti da fantascienza e noir e allora io che venivo dal mainstream ho cominciato a leggere fantascienza e noir. La fantascienza, quella che amo io e che non a caso infatti torna anche nell’ultimo romanzo che ho scritto, è quella distopica, due nomi su tutti, J.Ballard e P.K.Dick. Il noir che amo è quello dei maestri francesi o americani insomma, però con puntate anche verso Stephen King che ha scritto cose molto belle anche, come dire, molto interessanti che hanno diversi livelli di lettura. Gli scrittori che amo io sono viventi, ce n’è uno francese che si chiama Michel Houellebecq, lui usa il nome della nonna. Amo molto un scrittore morto nel 1989 che si chiamava Thomas Bernard e di italiani leggo soprattutto Walter Siti, Antonio Franchini, Giuseppe Genna. Uno dice: ma non ci sono donne? Sì, le donne ci sono ma non sono italiane, ad esempio Lauren Groff e Jennifer Egan. Amo molto anche scrittori americani, tipo Franzen, Hemingway, Faulkner. Quindi nella mia formazione c’è poco di italiano perché in Italia si fa un certo tipo di letteratura, spesso sentimentale, spesso melodrammatica. Oggi come oggi va tanto di moda l’happy ending, tutte le storie devono finire bene…ma la letteratura è un modo per indagare la realtà, è un modo per interrogare la realtà e per costruire mondi, un mondo parallelo che ti fa vedere come potrebbero andare le cose o come non sono andate.
Qual è il suo libro preferito tra quelli, non so, simile alla domanda prima? Qual è il libro che ama di più tra quelli scritti da lei?
Forse il penultimo, intitolato “Foto di famiglia con sgomento” che è una specie di autobiografia in cui si parla di legami familiari e di non legami e di famiglie disfunzionali e di questioni familiari. Il più recente, “Teodoro nella città”, invece è un romanzo corale che parla di Fabriano, del territorio, parla di scuola, parla della vicenda di un piccolo circo che capita Fabriano durante il lockdown e non riesce più a partire, ve la ricordate? E quando parte ha perso già un elefante perché è morto, perché durante il lockdown questi poveracci non potevano nutrirli. Io sono partito da quella storia lì per l’ultimo romanzo, perché il circo ce l’avevo sotto casa, quindi lo vedevo con le luci accese quando non c’erano i lockdown e poi a un certo punto non l’ho visto più, non ho più visto le luci ma sentivo i barriti di questi poveracci di elefanti che in certi momenti del giorno urlavano, affamati probabilmente, comunque chiusi, imprigionati e da lì sono partito per questa storia.
Lei si sente più poeta o più narratore?
Oh, questa è una bellissima domanda a cui non vorrei rispondere perché ci sono due risposte. Da una parte io mi sento sicuramente più un narratore perché la narrativa come vi dicevo prima è un lavoro, risponde a un progetto e anche alla necessità di indagare la realtà perché quando tu scrivi, anche se scrivi degli asini che volano, devi poter riuscire a far credere al lettore a quello che stai scrivendo e quindi già per questo fai uno sforzo di realtà cercando di “convincere” il tuo lettore. La poesia è altrettanto importante ma è una cosa direi quasi più personale, nel senso che io la scrivo quasi ogni giorno su facebook, la pubblico, non mi interessa se è bella, buona, cattiva perché la poesia viene dalle emozioni, fa parte del quotidiano e soprattutto riguarda un’esperienza che io non indago direttamente nella narrativa che è quella dell’amore o della mancanza o della perdita, quindi la poesia si specializza in questo campo delle emozioni più affettive, la narrativa parla di tutto il resto diciamo.
Prof, lei lavora da anni come prof nella scuola secondaria e in passato ha insegnato lettere anche al Vivarelli. Dai suoi libri però emerge sempre un rapporto difficile e problematico tra i suoi personaggi e il mondo della scuola. Perché? Quali sono secondo lei le criticità della scuola italiana?
La scuola potrebbe essere il nucleo centrale della società e invece rischia di essere continuamente la cenerentola dal punto di vista dell’interesse economico, dall’interesse istituzionale, perché non basta fare ogni anno la riforma dell’esame di Stato quando i professori vengono pagati meno degli operai di primo livello, dei turnisti; quando le nostre scuole, eccezion fatta per il “Vivarelli” che conosco bene, tendenzialmente hanno ancora tanti deficit dal punto di vista degli edifici, delle strutture, dei meccanismi di sicurezza. Il fatto è che non c’è un piano di costruzione delle mense nelle scuole per riuscire a fare stare i ragazzi anche il pomeriggio a scuola, come si fa in tutta Europa, e fargli fare un’esperienza scolastica in cui il progetto, le attività collaterali, siano parte integrante della scuola che in Italia patisce uno stato di abbandono impressionante. Ultima cosa, la mole di burocrazia che sposta la realtà della relazione educativa dentro i registri elettronici, dentro i colloqui elettronici, dentro le scartoffie, i piani della classe, i piani individuali, tutta questa serie di pastoglie impedisce alla scuola di essere quello che è sempre stato, cioè un legame tra generazioni che serve a trasmettere i valori fondamentali del corpo sociale. Io sono sempre molto critico in fronte alla scuola italiana, ma aggiungo anche, un po’ per smorzare, che la crisi che vive la scuola italiana è una crisi mondiale dell’educazione, è una crisi planetaria della pedagogia, per tanti motivi che riguardano la globalizzazione, la sua crisi, i modelli, le spinte aziendalistiche e soprattutto la trasformazione continua della società. Voi pensate semplicemente a due elementi: la scomparsa della famiglia tradizionale e quanti problemi dà all’interno delle scuole. Io sto all’artistico, dove c’è un certo tipo di utenza, che non è quella del “Vivarelli”, molto diversa, anche quella molto disciplinata, però con tanti problemi e spesso i ragazzi arrivano a scuola, quindi a un certo punto sei costretto a prendere in carico non la lezione, non Napoleone, non Ungaretti, ma il fatto che la ragazza piange la mattina o la sera, il fatto che la ragazza decide di non venire a più a scuola…Questo dipende moltissimo dalla crisi della famiglia e dal fatto che c’è anche una crisi nel mercato del lavoro. Sono tutte crisi che si ripercuotono sulla scuola e la scuola non riesce a rilanciare una soluzione, perché è lo specchio della società, ma non riesce in questo momento, secondo me, a prefigurare la società del futuro. Una domanda ora ve la pongo io: chi avete voi come prof di lettere?
Gatti
Ah, peccato…non siete fortunatissimi [ride]. Al Vivarelli ci sono tanti insegnanti di qualità, anche di lettere, ma Gatti non è tra questi. Lo conosco bene: s’impegna, soprattutto nella storia, ma non è un granché né come prof né come storico [ride]. Conosco bene anche la prof Antonella Mancini che è invece molto dotata, seria e competente.
Un’ultima domanda, lei quando si riferisce a Fabriano usa spesso la parola conca e la usa, ci sembra, con un’accezione negativa. Nelle sue opere si legge il desiderio del personaggio di fuggire da Fabriano, cittadina morente, alienante, opprimente, in cui non è possibile essere felice per davvero. Cosa non va in Fabriano e perché i suoi personaggi la detestano anche se ci vivono?
Io usavo la categoria “conca” nelle altre opere, ma in “Teodoro nella città” il personaggio vero è proprio la città e non si chiama più la conca, ma si chiama la cittadina di F puntato e F potrebbe stare per Firenze, Forlimpopoli, Forlì, Foligno, ma anche Fabriano. Chiaramente rimane nel vago, ma è ovvio che è Fabriano, perché Fabriano ha una struttura territoriale e antropologica sostanzialmente chiusa, sostanzialmente poco aperta agli scambi. È molto fabrianese questa incapacità di mettersi in contatto con l’alterità, di costruire una dialettica che significa imparare dagli altri o criticare gli altri, comunque avere scambi: se tu non conosci quello che c’è fuori, come risultato quale hai? Hai il risultato che giudichi tutto con la stessa misura. Questo è il problema del paesotto in cui viviamo: la gente non ha avuto altre esperienze umane, relazionali, civili, metropolitane e quindi si chiude nei suoi valori e non comprende che esistono valori altri che potrebbero diventare anche i propri. L’autoreferenzialità è il difetto più grande e poi c’è la mancanza, che voi conoscete bene, di attività, di propulsione sociale, di creatività. Dico una cosa cattiva: la cultura è in mano alle associazioni cittadine che sono sempre quelle da 40 anni, ci sono 100 persone in tutto che fanno parte di 20 associazioni e la cultura la fanno loro. C’è gente della mia età che dovrebbe stare a casa a curare i nipoti e invece rompe le scatole in giro. I giovani, naturalmente, sia quelli di destra sia quelli di sinistra, se devono passare i pomeriggi con un branco di vecchi dell’altra generazione preferiscono fare altro o come spesso accade per la musica, per la lettura, vanno fuori. Però bisognerebbe portare il fuori qua dentro.
Lina Abdellaoui
Davide Renelli
