Assemblea di istituto: incontro con Francesco Gnecchi e Alessandro Moscè
Perché lo sport è vita!!!
Lo sport, lo sappiamo, è da sempre molto più di una semplice attività fisica. Lo sport è mito, leggenda, ispirazione per tutti noi. Da Pelè a Maradona, da Mohamed Alì a Michael Jordan, la storia dello sport è costellata di figure che trascendono le loro discipline e diventano icone per intere generazioni di appassionati.
Con due ospiti d’eccezione, Alessandro Moscè, scrittore fabrianese, i cui libri sono tradotti in tutto il mondo e Francesco Gnecchi, giovane promessa del basket italiano, anch’egli fabrianese, all’assemblea d’istituto abbiamo analizzato il legame tra sport, letteratura e società.
Alessandro Moscè ci ha raccontato la sua toccante storia racchiusa nel romanzo Il talento della malattia (Avagliano, 2012). Un bambino malato di sarcoma di Ewing viveva una condizione difficile e i medici lo davano per spacciato. Ma ecco arrivare il suo eroe, il grande attaccante della Lazio Giorgio Chinaglia, che lo aiutò a guarire dandogli un fondamentale supporto psicologico.
Francesco Gnecchi, invece, ha parlato della sua storia di atleta che ha lasciato la città quando non era ancora maggiorenne per inseguire il sogno di diventare un cestista di professione. Ha esordito nel Collage Basket Borgomanero dimostrando, per due stagioni, di poter competere con giocatori formati. Poi la serie B con il Sintecnica Basket Cecina che sono valsi la pena per la crescita professionale. Quindi le ultime stagioni trascorse nelle Marche, da protagonista, allo Ristopro Fabriano.
Moscè, lei nel suo libro, dice che ogni bambino ha il suo eroe: il suo è stato Giorgio Chinaglia. Spesso questi eroi diventano miti per intere generazioni. Cosa trasforma uno sportivo in un mito?
Il mito odierno è colui che un tempo veniva identificato nel gladiatore, cioè nel combattente che dava spettacolo nelle arene. Il ruolo, nella modernità, è stato sostituito dall’atleta di una qualunque disciplina. Il calciatore rientra in ciò che Jorge Luis Borges definiva il “basso epico”. Chi, da bambino, non vorrebbe diventare un grande attaccante della Juventus, dell’Inter, del Milan? Chi non si è mai identificato in un campione che fa vincere la sua squadra? La percezione è senz’altro infantile, ma muove il sogno, la sfida: pertanto risulta avvincente. Il mito genera attenzione, passione, evasione. Tutti noi abbiamo bisogno di questi aspetti vitali.
Alle persone e alla società servono eroi? Ed oggi, con le nuove tecnologie ed i social network, gli influencer sono i nuovi eroi?
Gli eroi e i miti, per i giovani, sono necessari solo se conservano un comportamento corretto, altruista, seppure possano risultare dei privilegiati. Chinaglia mi venne a trovare mentre stavo male e mi ospitò nel ritiro estivo della Lazio, dimostrando sensibilità e partecipazione emotiva per un ragazzino gravemente malato. Tifava per me, per la mia guarigione. Le nuove vie di comunicazione non generano miti e gli influencer, spesso, non hanno nulla di particolare da dire. L’eroe è colui che si spende per gli altri, come può. Esistono anche gli eroi della quotidianità, non dimentichiamolo. Basti penare ai medici nelle sale operatorie o ai volontari che danno una mano negli istituti di cura. Non sono i mezzi che fanno la differenza, ma gli individui. Tornando al calcio, mi piace ricordare che Cristiano Ronaldo fece una donazione di 6,88 milioni di euro, nel 2015, per aiutare il Nepal vittima di un terremoto. I genitori di un bambino affetto da displasia corticale e bisognoso di un intervento lo contattarono per chiedergli di organizzare una raccolta fondi in modo da pagare l’operazione. Ronaldo si rifiutò di dar vita alla raccolta donando l’intera cifra alla famiglia del bambino. Il mito, in questi due episodi, fu davvero un eroe generoso.
Nicola Alessandrini